Nei teen drama, le serie televisive dedicate agli adolescenti tutto deve essere amplificato: timori, invidie, gelosie, cattiverie, sesso, droghe. Per fare audience i finti adolescenti televisivi (di solito interpretati da attori venticinquenni) hanno dark side molto evidenziati, disagi spesso patologici.
Un eclatante brutto esempio di questa tendenza è la nuova serie spagnola Elite, prodotta da Netflix.
La storia si svolge a Las Encinas, la scuola da ricchi del Paese, con un’ ambientazione che clona i prestigiosi istituti d’oltreoceano. E’ un po’ un Gossip Girl in un Paese con il PIL molto più basso.
Siamo in Spagna e quindi i ragazzi indossano le belle uniformi scolastiche, ma hanno un sacco di sfighe in più rispetto ai coetanei americani. La prima è dover accettare l’arrivo di tre alunni di una classe sociale molto più bassa (il titolo della serie Elite, significa che Las Encinas forma appunto la futura elite, la classe dirigente del futuro).
I tre poveri sono arrivati perchè hanno vinto una borsa di studio (oltre che pezzenti anche secchioni!) perchè la loro vecchia scuola, ovviamente in un quartieraccio, è crollata per colpa del costruttore che aveva usato materiali scadenti.
(E in che classe sono inseriti i poveri? In quella dove ci sono anche i figli-fichi del costruttore-truffatore. Ma guarda che combinazione!)
Naturalmente questo innesto di gente strana/diversa non è ben accettato dai giovani e ricchi rampolli e quindi succede il fattaccio. Ci scappa il morto.
Sì, Elite è un thriller teen drama e per catturare lo spettatore, inizia subito con gli interrogatori, copiando lo stile di un’altra serie molto più accattivante.
Così, tra canzoncine imbarazzanti e scene in slow motion si imparano a conoscere i protagonisti: fra questi ci sono tre attori de La Casa di Carta (per gli appassionati: Rio, Denver e Alison). Sono la scoperta più bella di tutta la trama, perchè il resto è veramente un’accozzaglia di luoghi comuni e temi pruriginosi acchiappa-adolescenti mischiati alla rinfusa.
Hanno infilato dentro di tutto: differenze di classe, malattia, omosessualità, bullismo, truffe, violenza, religione e una bella spruzzata di perversioni sessuali che, di solito, a sedici anni se non sei cresciuto in un postribolo, non riesci proprio a inventarti.
Un mix esagerato che fa sembrare Tredici un’opera di Shakespeare.
Giusto un piccolo esempio per rendere l’idea: uno dei ragazzi sta scoprendo la sua omosessualità allora va su un app per cercare un partner. Però vorrebbe anche farsi un po’ di canne, per rilassarsi, quindi cerca anche uno spacciatore.
Il destino vuole che il pusher che trova non solo sia gay, ma pure musulmano. Insomma erano così tanti i temi da esplorare che a quell’attore nel personaggio da interpretare è toccato il 3×1, la combinazione di tre tematiche.
E cosa si dicono i due mentre partono i primi approcci su un muretto?
“Excusatio non petita accusatio manifesta!” (giuro, parlavano in spagnolo ma il ragazzo ricco al pusher musulmano che tentava di baciarlo ha detto proprio così)
Lo spacciatore ha risposto qualcosa come: “Che caxxx dici?”
Allora il latinista sedicenne ha fatto marcia indietro e mormorato: “Nada”
Ecco, in quel momento tutto mi è stato chiaro. Il povero sceneggiatore, lo schiavo a cui avranno chiesto di scrivere a tempo record i testi per la serie (per quello ha prodotto una tale schifezza), aveva fatto il liceo classico e per vendetta ha infilato lì quella frase!