Lo scandalo delle due parioline, liceali, che si prostituivano per fare la bella vita, spendere e spandere e permettersi un guararoba firmato risale al 2014. Una storia pruriginosa di costume che ha fatto scalpore. Ma anche riflettere e rabbrividire molti genitori.
Da venerdì, dopo un battage pubblicitario pesante, la vicenda delle due baby prostitute, è stata trasformata in una serie su Netflix. Come si sono premurati di chiarire i creatori, la trama delle otto puntate di Baby è solo un libero adattamento del fatto di cronaca.
Beh, si poteva fare di meglio. A parte la pessima recitazione di gran parte dei protagonisti (si salvano solo gli attori più famosi) la sceneggiatura è spesso incongruente e banale.
Troviamo, ancora una volta, una costosa scuola privata come teatro della vicenda.
Nelle serie tv questi luoghi sono il male, frequentati da adolescenti debosciati e disagiati. Qui sono iscritte naturalmente le due giovani prostitute wanna-be, Chiara e Ludovica. Oltre a loro ci sono un coatto che in realtà è figlio di un ambasciatore di un non ben identificato paese arabo e anche molti altri infelici, ragazzi e ragazze scontenti, invidiosi, avidi e bugiardi. Litigano e si fanno scherzi pesanti.
Ovviamente ci sono i soliti video sexy messi in rete, i tradimenti e le spiate.
Mentre gli alunni hanno case da immortalare nelle riviste di arredamento, il preside ha una cucina squallida ancora in stile anni’60. E un figlio (bruttarello) che si eccita sfogliando, segretamente, riviste con paginoni di pubblicità di underwear da uomo (in stile D&G).
Poi fra il corpo docente, stranamente, la prof di ginnastica è moglie dell’ambasciatore.
Quando una ragazzina tra i protagonisti, aspettando di poter partire per l’anno all’estero a New York, si invaghisce le coatto-bene lo invita a cena in famiglia la madre (snob) storce il naso, (uno straniero e anche attacabrighe con problemi di sospensione scolastica!) poi chiede con scocciata nonchalance alla colf (che spignatta rassegnata in uniforme sullo sfondo della megacucina):
“Maria* sai cucinare qualcosa di arabo?” (*nome di fantasia)
E allora la figlia felice esclama: “Grazie mamma!”
Altra scena fondamentale al plot: Ludovica si è appena accoppiata con un tipo che la porterà sulla cattiva strada (per convincerlo gli ha gridato “strappami questo vestito!”) e dopo l’amplesso gira per l’appartamento curiosando qua e là.
Trova una borsetta rossa di Fendi (ma guarda! negli articoli di giornale del 2014 c’era scritto che le due baby prostitute adoravano le borse griffate) e la osserva prendendola in mano. In quel mentre entra nella stanza il tipo, docciato e tatuato, indossando solo un asciugamano in vita, la guarda e le chiede sornione:
“Ti piace quella borsetta?”
Lei annuisce.
Allora lui prende la borsa, la capovolge per svuotarla e le dice, veramente generosissimo: “Prendila è tua!”
Ludovica è contenta, io invece mi sono fatta delle domande. Ma di chi era quella borsa? Frutto di uno scippo? Le cose che erano dentro appartenevano a una fidanzata precedente? O era lui che portava la borsetta a tracolla?
Insomma tutto così, un po’ ridicolo. Non aggiungo altri dettagli per non spoilerare troppo. I poveri adolescenti sono quasi delle caricature di se stessi, vacui, scontenti, schiavi di instagram. E soprattutto totalmente privi di anche un minimo guizzo di umana ironia.
Mi sarei disperata se non avessi invece scovato un’altra serie, sempre sui teenager, molto più viva, divertente e realistica. Realizzata con molto meno budget riesce però a rendere con più verosimiglianza l’idea di cosa pensano e come vivono i nostri ragazzi.
Anche questa è ambientata in un liceo romano (non un’altra infernale scuola privata!), è la versione italiana di una seguitissima serie norvegese sugli adolescenti. Molto più divertente e interessante di Baby che, purtroppo, ha capitalizzato sulla trasgressione senza poi riuscire a scandalizzare e nemmeno coinvolgere.
Oltretutto poi la visione di questa serie più divertente è anche gratis!