Il mondo dell’agonismo sportivo può essere spietato e lo diventa sempre di più quando si alza la posta in gioco. Questo racconta Tonya, il film di Grig Gillespie che prendendo a prestito lo stile documentaristico, racconta la storia di Tonya Harding. La campionessa americana di pattinaggio artistico che, negli anni’90, divenne internazionalmente famosa anche per una bruttissima storia di cronaca nera. Fu infatti accusata di aver azzoppato la sua rivale Nancy Kerrigan.
Il film racconta la parabola della Harding partendo dall’infanzia. Tappa fondamentale per comprendere la genesi di tutti i suoi guai futuri.
Cresciuta in una famiglia disastrata, quella che gli americani chiamano “white trash”, la fascia povera e illetterata della popolazione bianca, Tonya sin da piccola è stata bersaglio di una madre ingombrante e despota. La donna (interpretata magistralmente da Allison Jenney che si è guadagnata l’Oscar come miglior attrice non protagonista) sognava il riscatto economico e sociale attraverso la figlia. Per ottenerlo, cominciò a obbligare la bambina a massacranti allenamenti sui pattini dalla tenera età di quattro anni.
Da lì in poi la motivazione a migliorare tecnica e stile arriverà sempre sotto forma di abusi e soprusi. Tonya subisce e interiorizza lo stile violento. Diventa un’eccellente pattinatrice psicologicamente squilibrata. Disposta veramente a tutto pur di primeggiare.
La bellissima Margot Robbie, imbruttita ad hoc per il ruolo, è molto brava e intensa (avrebbe anche lei meritato un premio). Ma tutti gli interpreti recitano benissimo. Un film da non perdere: coinvolgente, spassoso e doloroso. Il linguaggio crudo, ironico e spesso volgare, ma assolutamente funzionale alla storia. Il rapporto madre-figlia è il fulcro della vicenda, scandalizza, commuove e porta a molte riflessioni. Oneste e piuttosto amare. Le mamme possono fare danni irreparabili, per colpa propria o perchè sono, a loro volta, vittime di coincidenze nefaste.