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A volte resuscitano - Extramamma

A volte resuscitano

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Ero anche un po’ emozionata nell’aprire di nuovo il blog, intimidiata perchè non ho scritto qui da così tanto tempo.
E’ successo perchè mi sono autoisolata, sfruttando le vacanze per scrivere, scrivere, scrivere e finire la prima parte del mio nuovo romanzo. Sono andata un po’ lunga e perciò sparita per più tempo del previsto.
La prima cosa che voglio condividere è l’ultima sòla he ho preso andando al cinema.
Eccola qua:

Premiato con il Leone d’oro all’ultimo festival di Venezia, Sacro GRA di bello ha solo il titolo. Il resto è fuffa.
Fuffa pesante perchè la pellicola dura un’ora e mezzo mentre bastavano quindici minuti per esprimere quello che viene lentissimamente mostrato.
Ma come spesso succede la critica ufficiale è omertosa a riguardo e preferisce tirare il pacco al grande pubblico.
Ignara di tutto e felice di vedere una primizia cinematografica che arrivava fresca-fresca da Venezia, ed era addirittura stata premiata, sabato sera sono andata a vedere il film nel cinema più “intellettuale” di Milano e il pubblico era selezionatissimo: dai trentacinque in su, tutti impegnati, intelligenti, radical chic. Gente che forse non sa neanche chi sia Checco Zalone e neanche Ficarra e quell’altro di cui non ricordo il nome. Quindi parterre molto ben disposto ad accogliere il capolavoro.

GRA sta per Grande Raccordo Anulare: il film “racconta”, nella forma di documentario, la vita di chi vive a margine di questa tangenziale e, con una facile metafora, anche a margine della società.
Zoomata d’autore sulle persone sfortunate, emarginate e spesso fulminate che vivono in situazioni precarie.
Il pescatore di anguille che naviga il Tevere con il suo barcone, il volontario della Croce Rossa, le vecchie prostitute, il conte decaduto che affitta la villa kitsch come set per i fotoromanzi, lo studioso pazzo che adora le palme. Gli spettatori nella prima mezz’ora del film stavano attenti a ogni sfumatura perchè pensavano che anche i dettagli fossero importanti per capire meglio. Per interpretare eventuali future, sottili, perspicaci sfumature.
Illusi. Ottimisti. Ingenui e fiduciosi nelle recensioni dei quotidiani.
Ma dopo un’ora di film anche i più allegri, anche i più profondi, i più cinefili avevano perso ogni speranza.
Non c’era niente, non c’era storia, solo lunghissime inquadrature. Ingorghi, neve, traffico, incidenti.
Mentre le uniche battute del film erano quelle che mettevano in evidenza l’ignoranza degli interpreti (ripeto: gli sfortunati, gli emarginati, gli stranieri, gli svalvolati). Si poteva sorridere su chi usava il condizionale anzichè il congiuntivo, su chi non capiva l’italiano, su chi non sapeva l’inglese, su chi la dava via per sbarcare il lunario.
Politicamente scorretto per essere radical chic!
Dopo un’ora di film in sala, pienissima, molti tossivano, sbadigliavano, bisbigliavano. Qualcuno ha anche fatto versi meno chic. Ma nessuno ha osato alzarsi e andarsene forse perchè eravamo pigiati come sardine e sarebbe stato scomodo e faticoso guadagnare l’uscita. (Io sono rimasta fino all’ultimo fotogramma proprio per questo motivo).
Ma quando finalmente la tortura è terminata e sono apparsi i titoli di coda, nessuno si è trattenuto più.
Nell’ingorgo verso l’uscita si sono sentiti commenti coloriti. Epiteti irripetibili.
Anche da persone all’apparenza molto distinte ed eleganti.

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7 Replies to “A volte resuscitano”

  1. a me di questo film è piaciuto il titolo il resto non mi interessa come concetto. Con tutto il rispetto per chi l’ha fatto.

    1. Senz’altro il progetto del regista era ambizioso, ho letto che ha impiegato due anni a realizzare il film, però non è riuscito nel suo intento. Alcuni critici hanno tirato in ballo il “neorealismo”, che però era tutta un’altra cosa!

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