Il titolo di questo libro, appena arrivato in libreria, è volutamente provocatorio. E da Daniele Novara, il più famoso, onesto e acuto pedagogista italiano, c’era anche da aspettarselo.
Da esperto sa che da educare sono molto più spesso i genitori, non i bambini. E infatti, per aiutarli, Novara ha fondato a Piacenza il CPP (Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti) e anche la Scuola Genitori.
Una volta ai più piccoli si permetteva di comportarsi da piccoli, mentre ora non è più così. I bambini giocavano assieme, nelle strade, nei cortili, in campagna, correvano, litigavano, si azzuffavano, si autoregolavano. Lo sport dei bambini era il movimento dei loro giochi più o meno avventurosi. I bambini erano per il 95% magrolini. Ora si fanno i corsi (di nuoto, di baket, di danza, di karate, di vela, di yoga e quant’altro) e c’è un grave problema di obesità.
Novara ricorda la sua infanzia negli anni’60 quando c’erano i bambini estroversi, timidi, quelli aggressivi e quelli un po’ buffoni. E tutto era considerato normale: roba da ragazzini.
Adesso con il calo demografico i figli sono considerati preziosi, da accudire e salvaguardare e anche soprattutto da osservare con preoccupazione se non si comportano in un certo modo. Una modalità definita dagli adulti, in cui i più piccoli devono conformarsi.
Tante sono le cause di questa preoccupante metamorfosi: la sedentarietà dei bambini, prima addomesticati dalla TV e poi dalla tecnologia, poi l’ansia e l’iperprotezione dei genitori. Diventa anche una tendenza contagiosa, un timore che si diffonde inconsciamente per emulazione. Se si sente dire in giro che questo e quel comagno di scuola hanno avuto una certa diagnosi, non sarà che per caso ne soffre anche mio figlio?
In questo manuale Novara denuncia una tendenza preoccupante degli ultimi anni: gli adulti che hanno avuto a che fare con il mondo dell’infanzia, insegnanti o genitori, hanno dovuto confrontarsi in modo graduale ma inesorabile con una crescente terminologia medico-psichiatrica: disturbi dell’attenzione, autismo, dislessia, discalculia…
Le certificazioni sono aumentate in maniera esponenziale e molti bambini (un tempo sarebbero stati indicati come turbolenti, indisciplinati,
in difficoltà) oggi hanno una diagnosi precisa.
Quello non riusciamo a gestire e controllarelo possiamo curare. Se un bambino non si comporta come ci aspettiamo, se è troppo diverso dagli altri, se mette in difficoltà il mondo adulto, si possono attivare strumenti terapeutici. La diversità – dalle aspettative, dal contesto, del gruppo, da ciò che si ritiene normale- si annulla curandola come una malattia: quelli che un tempo erano gli status dell’infanzia e dell’adolescenza, considerati età a sè distanti con le loro carattersitiche di incompiutezza e originalità, diventano oggetto di attenzione sanitaria.
Così scrive il pedagogista, denunciando però che i conti non tornano:
le diagnosi italiane eccedono la media di qualunque nazione,
e l’accelerazione con la quale crescono nelle nostre scuole non è in linea con le statistiche internazionali. Cosa sta succedendo?
Con le competenze di esperto dell’educazione, e l’apprensione di un osservatore empatico del mondo scolastico, Novara ci propone una risposta semplice e sconvolgente: stiamo sostituendo la psichiatria all’educazione. In una scuola, e in una società, che sta abbandonando una delle sue missioni fondamentali, crescere le nuove generazioni.
Sembra diventato più semplice definire malato un bambino che non riusciamo a educare.
In queste pagine, ricche di dati chiari, esperienze sul campo, e anche una buona dose di acuta ironia, Novara ci porta alla scoperta di un sistema che troppo spesso preferisce la terapia all’educazione.
(in fondo è più comodo, “moderno” e lucroso)
Ma ci mostra anche, attraverso percorsi già sperimentati, come sia possibile opporsi a questa deriva, recuperando la missione primaria delle famiglie e dei docenti.
Un libro intelligente e forte, da leggere assolutamente. Perché non colpevolizza nessuna categoria ma al contrario chiama tutti, genitori, insegnanti e anche medici e terapeuti
a un lavoro comune per recuperare il senso vero dell’educare, tracciando una linea netta tra malattia e cattiva educazione, per ridare ai bambini la scuola, e la società, di cui hanno bisogno.