Ieri mattina, giornata bellissima, fredda ma piena di sole e di luce, ero carichissima per la mia prima corsa solidale ai Giardini Montanelli.
Mi ero allenata tutta la settimana e sapevo di potercela fare: 5km!
Non c’era neanche da preoccuparsi troppo, oramai quando vado all’Idroscalo a correre faccio dai 6,5 agli 8 km quindi….
Insomma ero positiva e poi arivata al meeting point ho trovato l’atmosfera allegra e piena di energia: un sacco di gente pronta a mettersi in gioco.
In nome della solidarietà, della prevenzione e della ricerca contro i tumori, avevano aderito in tantissimi.
Mamme, papà, nonni, vecchi, giovani, grassi, magri, alti, bassi.
Umani e non. Tutti insieme anche cani con la maglietta da runners e bambini in passeggino. E per offrire ancora più coreografia erano arrivati anche i cosplayer vestiti come i personaggi del prossimo Star Wars. Insomma eravano a Porta Venezia, ma sembrava di stare a Central Park.
Poi c’erano gli sponsor che aiutavano i runner a rifocillarsi e offrivano da bere.
E io ho bevuto, forse un po’ troppo.
Quando ci siamo radunati per la partenza mi sono messa nel gruppo dei palloncini bianchi, quelli che correvano con una velocità media. Poi c’era il gruppo dei blu che erano i più abili e i verdi che invece avevano scelto di affrontare i loro 5km camminando. Quindi la mia era una scelta più che dignitosa.
Siamo partiti e per i primo chilometro è andato tutto bene, correvo felice e spensierata nel gruppetto più avanzato del nostro team-palloncino-bianco. Poi al secondo giro ho cominciato a capire che avevo sconsideratamente bevuto troppa acqua, per idratarmi prima di partire, e mannaggia, dovevo andare in bagno. Ho cercato di scacciare questo pensiero scomodo e molesto e ho continuato a correre.
Però la preoccupazione aveva rallentato il ritmo: non ero più nel gruppetto in testa, ma relegata in mezzo a quelli più lenti. E certo mi scappava. Non potevo negarlo, zampettavo nei sentieri tra le aiuole, nel bagliore delle foglie dorate, in una cornice bellissima, ma le endorfine della corsa tardavano a entrare in circolo e regalarmi un senso di benessere.
Sognavo una toilette. Intanto ero finita fra gli ultimi del palloncino-bianco. E nella mente avevo cominciato a visualizzare la toponomastica dei bar attorno ai giardini di Porta Venezia. Modestamente, per ragioni fisiologiche, ho una vasta e dettagliata conoscenza dei bar del centro e soprattutto dell’accesso e delle condizioni dei loro servizi igenici.
Quindi, vista la necessità ormai impellente che mi impediva di correre alla velocità giusta, avevo deciso di scegliere per la mia fuga un bar in via Turati.
La strategia era semplice: oramai ero l’ultima del team-palloncino-bianco, appena il gruppo sarebbe passato davanti all’ingresso del parco su via Manin, sarei sgattaiolata fuori e poi Manin, Moscova, angolo Turati, giravo a sinistra e trovavo il bar.
Nella tasca dei miei bellissimi pantaloni tecnici, oltre alla chiave di casa e a quella dell’auto avevo messo, previdentemente, anche un bel 10 euro e quindi mi sarei concessa un cappuccino e un’elegante sosta alla toilette. Poi sarei tornata indietro in tempo per la fine della gara. Un piano perfetto!
Ringalluzzita dalla mia idea ho continuato a correre, sperando di arrivare all’ingresso di via Manin senza farmela addosso. E invece ad altezza dell’ingresso di Porta Venezia- Buenos Aires cosa vedo?
Un pullman blu con scritto TOILETS, probabilmente mandato dal cielo.
Troppo bello per essere vero, ho approffittato subito. E poi sono uscita gagliardissima e ho ricominciato a correre, la mia app diceva che avevo fatto 4km quindi ero anche contenta della performance.
Correvo da sola ma magari qualcuno che mi vedeva poteva anche pensare che fossi la prima e non l’ultima del gruppo.
Potevano pensarlo finchè non sono stata raggiunta dal PACER, il ragazzo che si occupava di dare la velocità e tenere assieme i gruppi. Mi ha addocchiato che pascolavo solitaria vicino al laghetto delle anitre e come un cane pastore mi ha fatto cenno, a gesti, di seguirlo per rientrare nel branco dei runner.
Ho obbeddito senza fare storie e dopo poche svolte fra le giostrine dei bambini, il Planetario e il Museo di Storia Naturale, mi ha rimesso in coda al team-palloncino-bianco che fortunatamente era già all’arrivo.
Li ho raggiunti e ho commentato: “Proprio una bella corsa!”