Quest’estate su una panchina di un parco di Londra ho trovato un libro. Una bella copertina in stile vintage che mi ha subito attratto, l’autore Julian Barnes, che conoscevo di fama ma di cui non avevo mai letto nulla. Mi sono guardata in giro: non c’era nessuno che sembrava un lettore distratto, qualcuno che tornasse alla panchina a riprendersi il libro. Così con una mossa furtiva, ho preso il romanzo abbandonato e l’ho messo in borsa. Il titolo The sense of an ending mi intrigava e prometteva bene, poi come é scritto in tanti romanzi trovare un libro per caso rappresenta sempre un messaggio.
L’universo voleva dirmi qualcosa?
L’avrei ascoltato con interesse!
La scrittura di Julian Barnes scorre fluida e coinvolgente, la storia raccontata nel romanzo narra del passare del tempo e di come, giunti all’età della maturità, riviviamo i nostri ricordi e guardiamo agli anni passati non sempre con oggettività. Romanzare la nostra vita, renderla più accattivante, avventurosa e forse anche straordinaria é un meccanismo che ci aiuta a convivere con chi siamo e chi eravamo.
Nel romanzo il protagonista è un pensionato, un tipo simpatico divorziato, tranquillo e un po’ pavido. Per evitare i conflitti per tutta l’esistenza ha preferito astenersi da reazioni troppo forti. Solo una volta aveva sbroccato e la conseguenza (insabbiata nella memoria per decenni) torna inaspettatamente a galla.
Cosa mi voleva dire l’universo? Mi ha fatto riflettere sullo scorrere degli anni, sull’idealismo della gioventù, su come spesso ci autoassolviamo.
Ma un’altra bella sorpresa è stata scoprire l’adattamento cinematografico del romanzo.
Ieri, con molte aspettative, ho visto il film e nonostante fosse molto difficile rendere cinematograficamente tutte le emozioni che si trovano nel libro, la pellicola non é stata deludente. Anzi. Il regista ha aggiunto alcuni elementi più leggeri per coinvolgere lo spettatore, ad esempio ha dato ampio spazio alla figura della figlia dell’anziano protagonista scegliendo per interpretarla “Lady Mary” di Dontown Abbey, Michelle Dockery, molto carina ma sempre con le sue bele sopracciglia spesso, molto spesso, inarcate.
(Quando Dontwon Abbey era di gran moda avevo letto su un blog di una ragazza inglese che nelle serate in cui guardava la seri assieme alle sue amiche avevano deciso di brindare ogni volta che Lady Mary alzava le sopracciglia e a fine serata erano inevitabilmente tutte ubriache!)
Poi la casa dove viveva l’ex moglie del protagonista era la stessa dove stavamo io ed Emma l’anno scorso. E’ un gruppo di edifici tutti uguali davanti a Battersea Park. Eh sì, avevamo visto un paio di trailer sospetti nel parco. Erano della troupe?
Probabilmente romanzerò la mia biografia e fra qualche anno racconterò che avevo addirittura incontrato anche gli attori!
A proposito di attori il protagonista da giovane non ci azzecca per niente con quello anziano. È così pure la sua fidanzata che da giovane aveva gli occhi marroni mentre da anziana é diventata Charlotte Rampling, con gli occhi azzurri!
Non ho letto il libro, ma ho visto il film. Ho molte perplessità o forse l’altra sera avevo troppo sonno? Non sono ancora riuscita a capire se mi è piaciuto.
Capisco la tua perplessità. L’ho visto con le ragazze a cui avevo raccontato la storia e quando siamo uscite mi hanno detto che se non avessi fornito tutti i dettagli in più, l’avrebbero apprezzato senz’altro di meno.
E’ sempre il problema delle trasposizioni cinematografiche che, proprio per i limiti del mezzo, rimangono spesso più superficiali.