L’altra mattina ancor prima di bere il caffè mi sono data una botta in testa (avevo lasciato aperto lo sportello di un pensile della cucina e rialzandomi dopo aver dato da bere a Lola ho preso in pieno lo spigolo sulla fronte). Ma una fitta tremenda di dolore, che mi ha fatto guaire, e un bozzo istantaneo che lievitava all’attaccatura dei capelli, non mi hanno fermato. E neppure lo sciopero selvaggio dei tassisti contro Uber ce l’ha fatta, perchè dovevo partire.
E sono partita comunque. L’appuntamento era troppo importante.
Ho preso il treno per Imola, per andare alla cena della riunione di classe.
La mia classe del liceo scientifico. Era già successo nel novembre scorso, ci eravamo runiti per la classica pizzata, felici, pimpanti e un po’ nostalgici, una vita dopo la maturità.
Una serata effervescente, un tuffo di giovinezza più efficace del botox!
Ero stata felice di rivedere tutti, ricordando con allegria i nostri scherzi, la goliardia, le feste e le gite. Eravamo una classe molto affiatata (più maschi che femmine) e molti dei miei compagni sono riusciti a preservare l’amicizia per tutto questi anni.
C’erano Rano, Caffo, Joe, Belva, Mors, Tondo, Beef, Spoglia, Micio, Cardo, Zwerdy: tutti avevano ripreso il loro soprannome di scuola, anche se adesso fanno l’avvocato, il medico, il veterinario, il professore, il geologo, ecc. Anche se adesso sono persone rispettabili, alla cena di classe sono tornati tutti i cazzoni ragazzi della Quinta A.
Con alcuni di loro non sono stata in contatto per anni, ma ho ritrovato subito affetto e complicità. Tutti sinceri, simpatici, disponibili. Forse perchè la vita di provincia preserva dall’ingrigimento un po’ ipocrita dovuto dallo stress di sfangarla in una grande città. Oppure perchè i romagnoli sono una garanzia di buon umore.
O ancora semplicemente perchè con persone con cui si sono condivisi gli anni dell’adolescenza, le confessioni sulle prime esperienze sentimentali, i segreti sulle strategie più pazzesche per sopravvivere ai prof, non è certo possibile indossare la maschera ipocrita/perbenista dell’adulto responsabile.
Neanche dopo decenni.
Ci siamo raccontati un sacco di storie, abbiamo condiviso gli amarcord più assurdi, abbiamo incastrato come un puzzle dettagli che qualcuno ricordava e altri no (eh l’età!).
E da un punto di vista psicologico la cena è stata un grande esperimento: abbiamo verificato alla grande che gli stereotipi di una volta si sono conservati. Preservati meglio che in freezer. Siamo sempre gli stessi, con le rughe, ma sempre noi. Le nostre personalità forse si sono evolute, ma modificate poco.
Nel bene e nel male. E per questo continuamo a divertirci insieme.